Gli Orixàs

"Al principio dei tempi esisteva solo Zambi, l'Onnipotente.
Zambi era Tutto. Stanco della solitudine decise di creare l'Universo. Gli fu sufficiente pensarlo e ogni cosa ebbe inizio."

Nell'Umbanda, il Dio assoluto, l'Onnipotente, è chiamato Zambi, termine che proviene dalla lingua Bantu dell'Africa centrale.
La comprensione di Zambi sfugge all'intelletto umano, dal momento che il suo mistero non è alla portata dei cinque sensi.
L'unica maniera per comprendere l'infinito è cercare di frazionarlo e considerarlo pezzetto per pezzetto.

Certo, i pezzi di infinito sono anch'essi enormi, ma sicuramente più comprensibili e intuibili: provate a visualizzare questo concetto e avrete un'idea di come l'Umbanda considera gli Orixàs.
Gli Orixàs (si legge Orisciàs) sono dunque i modi in cui Dio si manifesta nell'Universo, emanazioni divine che attuano sia sul piano della materia che a livello spirituale.
La maggior parte delle persone definisce l'Umbanda come una sorta di politeismo di origine africana o, peggio ancora, come una sorta di animismo. Non è assolutamente così: gli Orixàs sono divinità, non Dèi pagani. E per divinità bisogna intendere una proprietà di quel divino assoluto che noi chiamiamo Zambi.
Se Dio è Assoluto, significa che è presente a ogni livello dell'essere, così avremo moltissimi Orixàs, raggruppati in 7 gruppi o "famiglie planetarie". Il 7 è un numero dalla spiccata connotazione mistica ma, in realtà, ha la funzione di rappresentare l'azione spirituale degli Orixàs come vibrazioni dei 7 principali corpi celesti che influenzano la Terra, benché naturalmente essi operino in tutto l'universo.
Questo modo di concepire gli Orixàs è proprio dell'Umbanda e non può essere applicato ad altre tradizioni afrobrasiliane quali il Candomblè o il Batuque e nemmeno alla Santeria cubana.
Ogni essere vivente vibra della straordinaria forza vitale di Zambi, ogni creatura ne è permeata, ma per estensione si può affermare che qualsiasi cosa esistente ha in sé una scintilla divina, pertanto anche le piante, gli animali, i micro organismi e persino
i minerali e le pietre.
Secondo l'Umbanda, in ciascuno di noi vibrano differenti Orixàs, anche se sono due i più importanti che reggono un individuo: questi sono chiamati Orixàs di testa (Orixàs de cabeça), pertanto, ogni individuo ha un Padre e una Madre spirituali, di cui riflette le caratteristiche principali, il modo di essere e, a volte, persino il destino.
Conoscere il proprio Orixà di testa è a volte difficile e solamente l'esperienza di un Pai do Santo o una Mae do Santo (rispettivamente sacerdote e sacerdotessa) possono svelare l'arcano attraverso la loro esperienza e tramite il Jogo dos Buzios, un oracolo che si avvale dell'impiego di conchiglie del tipo ciprea.
In Africa gli Orixàs cultuati erano più di 400, tuttavia in Brasile quelli maggiormente cultuati sono sedici, in riferimento alle sedici combinazioni principali del Jogo dos Buzios, benché il numero di divinità sia in realtà superiore.
Ecco una lista dei maggiori Orixàs con le loro caratteristiche, la loro storia e la loro personalità, che trasmettono spiritualmente anche ai loro figli.

Oxalà

Oxalà, talvolta chiamato Obatalà, è la massima divinità del Candomblè, il Padre della vita e della fecondazione, il più importante ed elevato di tutti gli Orixàs. È il primo e legittimo figlio di Olodumarè, ossia Zambi, che è Dio. Olodumarè è tutto ciò che esiste, ma l'uomo non può arrivare a comprenderlo con la propria ragione in quanto non è abbastanza evoluto.
Oxalà è considerato il Signore delle Teste: del resto, per gli antichi africani nella testa risiede l'essenza di un individuo, quello che è realmente e che sarà. Secondo la tradizione africana fu Oxalà a dotare gli uomini della testa, del pensiero e perciò della loro individualità vivente. Questa prerogativa fa di lui anche un agente civilizzatore, una figura eroica a carattere mitico.
Oxalà è colui che sta sopra a tutti gli altri Orixàs, è la luce bianca in cui sono presenti gli altri Orixàs. Egli si unisce con sua sorella Oduduà in un amplesso cosmico che dà origine alla vita: Oxalà è il Cielo e Oduduà la Terra. Tra di loro, unico collegamento, vi è l'Albero Sacro Iroko che affonda le sue radici nel suolo e con i suoi rami accarezza le nuvole. La loro unione è un'unione d'amore, non finalizzata al piacere fisico.
Dire che Oxalà e Oduduà hanno avuto dei figli è come dire che si sono smembrati, si sono frazionati in altre manifestazioni di sé, negando loro stessi come corpo per riaffermarsi come spirito.
In Brasile Oxalà ha due manifestazioni fondamentali che sono Oxaguiàn e Oxalufà, ossia Oxalà da giovane e Oxalà da vecchio. Oxaguiàn è un guerriero coraggioso e valente, che combatte per la giustizia e per il trionfo della Luce, mentre Oxalufà è l'anziano, riflessivo e venerabile padre del Mondo, che incarna la saggezza e la bontà dell'Onnipotente.
Si dice che quando fu creato il mondo, gli uomini, nonostante avessero occhi, bocca e orecchie, non sapevano né vedere, né parlare, né sentire. Fu grazie a Obatalà che l'uomo poté prendere coscienza delle proprie possibilità e imparare a sfruttarle nel modo più produttivo. Fu dunque Obatalà che insegnò all'uomo a camminare eretto e fu sempre lui che segnò quel passaggio evolutivo che distingue l'uomo dagli altri viventi nel pianeta. L'etica di Obatalà è quella del rispetto e della comprensione che si esplicano in un amore gratuito e senza preconcetti di sorta. Il suo colore è ovviamente il bianco e, nel sincretismo, è diventato Nostro Signore Gesù Cristo, inteso, nella concezione esoterica, come sacro essere solare.

Yemanjà

Secondo la leggenda, Yemanja ( o Iemanjà) nacque dall'unione di Obatalà (il cielo) e Oduduà (la terra), si sposò con suo fratello Aganjù (ora venerato come una delle manifestazioni di Xangò) e da questa unione ebbe un figlio, Orungàn, così bello e pieno di talento da suscitare persino l'invidia di suo padre.
Un giorno, in sua assenza, Orungàn, preso da cieco desiderio, rapì e violentò sua madre. Costei, afflitta e in preda alla disperazione, fuggì dal figlio e affranta dal dolore cade a terra morta.

Dai suoi grandi seni si formarono due enormi fiumi che sfociarono in un lago, mentre dal suo fecondo ventre nacquero gli altri Orixàs: Dadà, Xangò, Olokùm, Olosà (signora dei laghi primordiali), Oià, Oxùm, Obbà, Okò, Oxossi, Oké, Ayé Xaluga, Oxambìn (la salute), Xapanà, Orùm (il sole) e Oxù (la luna).
Nel sincretismo è la vergine Stella Maris che, piena di fascino, emerge dai flutti coi capelli corvini mossi dal vento, lo sguardo pieno di promesse e le braccia aperte nell'atto di donarsi.
Il capo è circondato da stelle, mentre tra le onde galleggiano rose bianche. Alle sue spalle la luna crescente illumina il cielo notturno, mentre monete d'argento cadono dalle sue mani.
È la madre di tutto ciò che esiste, l'archetipo del brodo primordiale e del liquido amniotico, gli ambienti dove nasce la vita.

Xangò

Xangò è giustizia, ordine ed equilibrio. Assomma in sè tutte le caratteristiche mitiche di Giove, il re degli dei olimpici. È sicuramente uno dei Santi più venerati nell'Umbanda e nelle altre tradizioni afrobrasiliane. Deciso, forte e valoroso, è il simbolo delle istituzioni, della legge e del governo, è il padre all'antica, autoritario, deciso, irremovibile. Xangò è l'uomo d'onore per eccellenza, galante e donnaiolo, il macho per eccellenza, sposo mitico di Obà, Iansà e Oxùm, tre fiumi della Nigeria.
Il dominio di Xangò è sul fuoco e sulle rocce, sa essere esplosivo come un vulcano e la sua voce è quella del tuono, di cui è padrone. "Caò cabièsile!" è il suo Orikì (saluto cerimoniale), ma quando si avvicina la tempesta lo si implora dicendo: "Ekuà, Ekuà meu pai": la furia di Xangò è infatti terribile e non conosce limiti o misure di sorta.
Solo Oxalà può calmare questa forza della natura e placare la sua ira: quando Xangò è adirato occorre rivolgersi subito ad Oxalà, per ammansire il Santo. 

Passione cieca, desiderio, tradimento, tracotanza e violenza sono generalmente i difetti di Xangò.
Come Orixà è simile a Ogùm e in certi canti sono considerati fratelli. Secondo la leggenda, originariamente Xangò e Ogùm indossavano entrambi una collana di perline rosse, fu il vecchio Oxalufà a incoronare Xangò come quarto re del regno di Oyò e ad assegnargli una collana di sei perline bianche alternate a sei rosse, per segnalare la sua stirpe regale.
La nascita del culto di Xangò viene tramandata con una leggenda: il re di Oyò era sempre in guerra coi popoli confinanti sui quali, alla fin fine, riusciva sempre ad avere la meglio. Un giorno si recarono da lui due guerrieri delle città assediate: Tùnin, chiamato anche Agbalé Olofa Inàn, colui che scaglia frecce di fuoco e Gbonkà, alto e forte come un gigante.
I due volevano che il grande re di Oyò insegnasse loro la vera arte della guerra. Xangò accettò, ma si limitò negli insegnamenti temendo una futura rappresaglia, anche perché i due giovani guerrieri, ogni giorno che passava, acquisivano fama presso il popolo. Venne il giorno della guerra e i due guerrieri, davanti ai dodici ministri istituiti da Xangò, dissero che erano pronti, per provare la loro fedeltà, a morire per il loro re e che, se Xangò avesse voluto, avrebbe lui stesso potuto ucciderli. Detto fatto: il re fece armare una pira e ordinò che venissero bruciati vivi. Il rogo fu preparato, ma le fiamme non scalfirono la pelle dei due guerrieri. Tùnin e Gbonkà sopravvissero anche alla prova dei carboni ardenti. Allora Xangò ordinò che venissero gettati nell'olio bollente: nulla accadde, i due resistettero. Demoralizzato e umiliato, il re sparì davanti alla folla stupefatta e disorientata da quei fatti prodigiosi. I giorni che seguirono, per il regno di Oyò, furono dei peggiori: violenze tra la gente, nascite di bambini deformi e lampi minacciosi, saette e tuoni, che serpeggiavano minacciosi per i cieli. Tutti imputarono questa serie di disgrazie a Xangò: "È diventato un Orixà!" dicevano. 

Tùnin e Gbonkà tornarono ai loro paesi. Nel frattempo sparirono anche Oxùm e Oià, le due favorite del grande re.
I mangbàs, i ministri, interrogarono i sacerdoti e ne ebbero la conferma, così istituirono il culto del nuovo Orixà attribuendogli, a livello spirituale, le medesime preferenze personali che aveva in vita, offrendogli i cibi che più amava.
Le tempeste terminarono e le violenze si placarono, tutto tornò come prima. Fu organizzato un nuovo consiglio di ministri incaricati di mantenere vivo il culto. Questi furono scelti tra antichi re, principi e governanti dei territori conquistati dalla valenza di Xangò.
Nel Candomblé il ricordo di questo consiglio si è mantenuto nel gotha dei dodici ogàns più vecchi del terreiro (tempio). La loro superiorità e il loro prestigio è evidente, tant'è che il loro parere è sempre considerato indispensabile prima di prendere qualunque decisione. In caso di morte di uno di questi, la carica viene subito presa da un altro affinché il loro trono -sono collocati alla destra e alla sinistra del sacerdote - non resti vacante.
Secondo la tradizione, Xangò in Brasile ha dodici manifestazioni. Tra queste ricordiamo Ogodò, chiamato anche Beri o Djacutà, che corrisponde al re Oraniyàn. È il signore del tuono e della giustizia per esteso. Qualunque causa o processo sarà risolto nel migliore dei modi da questo poderoso e anziano Orixà. 

Agajò è uno Xangò che ha il compito di proteggere e aiutare le anime nel trapasso dal piano terrestre a quello spirituale, ed è sincretizzato con San Pietro Apostolo. 

Aganjù, il primo Xangò, il Babà Dijinà, è il padre di tutti gli altri, corrisponde a San Giuseppe o San Cristoforo nella mescolanza sincretica. L'archetipo rivestito da questo Orixà è contraddittorio: per taluni Aganjù è il firmamento, ciò che sta tra le acque salmastre di Iemanjà e il cielo di Obatalà. Per altri è la sintesi di fuoco e roccia allo stato fluido: il magma.

Oxossi

Oxossi è l'Orixà della caccia, lo spirito delle foreste (Senhor da Mata) e delle bestie feroci. Insieme a Ogùm ed Exù forma la triade delle divinità guerriere Yoruba.
Oxossi è istinto, introspezione, strategia, ma anche abbondanza e sazietà.
Nella vita di tutti i giorni è l'alimentazione, ciò che mangiamo, il nostro pane quotidiano. La caccia infatti altro non era che l'unico sistema dei nostri antenati per procurarsi carne. 

Di stirpe regale come Xangò, fu re di Alaketo e il suo culto è svolto generalmente nel folto della boscaglia. Le divinità africane, in Brasile, si scontrarono anche con gli dei delle popolazioni indigene, come Uiara, Iurapuru, Jaci, Aimorè. Questo fatto creò una religione all'interno di un'altra e nacque così il Culto do Caboclo, divinità suprema del quale è Oxossi. 

I caboclos sono tutte quelle entità, maschili o femminili, venerate nella foresta e che fanno capo sempre e comunque alla famosa divinità africana. Il Culto do Caboclo non è però separato dalla struttura afrobrasiliana, ma perfettamente integrato in essa. Il Santo cattolico che cela quello africano è, nell'Umbanda, San Sebastiano.
Oxossi è considerato l'Orixà della "fartura", ossia dell'abbondanza, a lui ci si rivolge per ottenere anche aiuto a livello economico. Inoltre, essendo considerato un grande cacciatore, difende dalle trappole di ogni genere e il suo ausilio è richiesto per uscire dal carcere, per liberarsi da vincoli o per spezzare ogni tipo di legame negativo o dipendenza.
Essendo l'Orixà dell'alimentazione, ha potere sul metabolismo, quindi può risolvere problemi di anoressia e bulimia. È un tutt'uno con la foresta, da cui trae nutrimento, ma senza mai alterarne l'equilibrio: prende solo ciò che serve per sopravvivere, conscio delle proprie necessità ma anche di quelle della natura. Nella sua manifestazione Okè diventa paladino dell'arte, del senso civico e urbanistico, combattendo disordine e vandalismo, le brutture moderne.
Libero all'interno del suo verde e florido ambiente, protegge l'indipendenza e la libertà, sia intellettuale che fisica.

Ogum

Ogùm, in principio spirito tutelare dell'omonimo fiume in Nigeria, è il signore del ferro, della guerra, della metallurgia e per esteso del lavoro.
Determinato, energico, impetuoso e istintivo, Ogùm risolve rapidamente ogni problema pratico e manuale, non conosce ostacoli e apre tutte le strade spirituali e materiali.
Compagno inseparabile di Exù e amico del valoroso Oxossi, Ogùm fa del coraggio, della determinazione e del valore i propri punti di forza.
Ogùm rappresenta la vittoria sul nemico, ma anche contro il male, contro cui l'indomito combattente si scaglia.
L'arma brandita da questo valoroso guerriero è la spada, simbolo fallico e virile, un'arma che non può creare, ma che usa per recidere, scolpire, distruggere e mutare ciò che già esiste. Esotericamente, la spada gli consente di segmentare la complessità in parti più semplici: il suo insegnamento spirituale è pragmatico e marziale. Il metallo è sotto il suo dominio: Ogum si trova negli stabilimenti industriali, nelle rotaie e nei ponti, ma anche nelle lamiere degli incidenti stradali. Vi è un po' del santo guerriero anche nelle vibrazioni di alcuni Orixas che brandiscono un'arma di metallo, come Yansà, Obà e Oxaguian.

Secondo la tradizione esistono sette dijinas (manifestazioni) di Ogùm: un mito vuole spiegare la presenza di queste sette qualità dellOrixà guerriero.
Ogùm fu il primo marito di Oià/Yansà, l'Orixà del vento, delle saette e dei cimiteri.
Lui era fabbro e a lei toccava l'onere di caricare gli arnesi dell'officina e attivare il fuoco della forgia. Yansà non amava quella vita, litigavano continuamente, senza contare il fatto che aveva per la testa Xangò e nel cuore meditava già di fuggire con lui. Yansà aveva il potere di trasformarsi in bufalo e dopo l'ennesima lite, per sfuggire al marito e frequentare Xangò, si trasformò in animale e andò nella foresta. Quando Ogùm la trovò iniziarono a combattere a colpi di spada. Ogùm divise Iansà in nove Oià, mentre la sua combattiva compagna lo divise in sette. Da allora ci sono nove Oià e sette Ogùm.
Le nove Oià sono i nove affluenti del Niger, di cui Yansà è signora.
Nel sincretismo Ogùm viene rappresentato con San Giorgio.
L'axè di Ogum si invoca per sbrogliare una situazione, sbloccandola in maniera rapida e risoluta, è l'Orixà "Vencedor de domanda", colui che "abre caminho da ferratura", ossia che apre le porte alla fortuna: il ferro di cavallo, sotto il suo dominio, rappresenta non solo le buone opportunità della sorte, ma anche un mezzo indispensabile per intraprendere un tragitto verso il nuovo.
Ecco perché spesso le offerte a Ogum si portano in prossimità di strade, rotaie o autostrade: sono le vie da imboccare per giungere a nuove opportunità, allo sblocco di situazioni stantie. Ogum ci aiuta con la sua spada e ci sprona ad andare oltre le difficoltà, verso la meta.

Oxum

La presenza di un fiume, nel passato, significava acqua per l'uomo, per i suoi animali e per far crescere i prodotti della terra. Acqua significa vita, progresso, abbondanza, sviluppo e contatto con altre terre, altre popolazioni: è il primo segno di vita, nonché collegamento perfetto, il tessuto connettivo della Terra.

Oxùm, sincretizzata in Brasile con l'Immacolata Concezione, è considerata la Signora del fascino, dell'amore, del sorriso e della bellezza: una Afrodite dalla pelle d'ebano, anch'essa nata dal mare (Yemanjà) e soggetta a passioni non sempre spirituali e caste.
I termini con cui ci si rivolge più spesso a questa Santa sono "Yeyé", madre, e "Doce", dolce.
È madre in quanto simbolo di fecondità e parto, come Yemanjà, tuttavia questa maternità deve essere considerata in una maniera più complessa e pervasiva. Come signora della Concezione, Oxùm incarna la creazione e la fecondità, dunque è patrona delle arti in generale, ma anche di quelle oratorie e dialettiche. È colei che dona nuova vita: sebbene la crescita e l'allevamento siano sotto la responsabilità della più adulta Yemanja, senza l'innocente languore di Oxum non si avrebbero l'attrazione, l'unione e la procreazione.

È l'innamoramento, la seduzione; ha certamente un aspetto passionale, ma privo del furore di Yansà o della virtuosa forza di Obà: è la cinguettante e giocosa essenza che a tutto si mescola e tutto addolcisce, la primavera della vita, la nascita.
Oxùm è dolce e irresistibile, nessuno sa dirle di no, nemmeno Zambi che, in un mito, pur di assaggiare il miele preparato da questa bellissima Yabà, trasgredisce le leggi della natura riportando in vita Omolù.
Secondo la tradizione africana le manifestazioni di Oxùm sono sedici, i nomi che tornano più spesso sono Oxùm Pandà, Oxùm Ibù Kolé, Oxùm Aparà e Yéyé Kare.
Ci si rivolge a Oxùm per acquisire un po' della sua dolcezza, per conquistare il prossimo, per favorire la vita sentimentale o per propiziare la ricchezza: l'oro è il suo metallo prediletto ed ha una spiccata predilezione per il lusso.
Il suo axè è anche purificante e ricostituente: lo si utilizza anche semplicemente per nutrirsi. È generosa anche in ambito lavorativo, soprattutto per le donne, che possono districarsi con agilità in situazioni professionali difficili facendo ricorso alla dolcezza della splendida Yabà.

Yansà

Oià, altrimenti chiamata Yansà, è la signora dei venti, delle bufere e dei temporali. Terza e ultima moglie di Xangò, nel sincretismo è Santa Barbara, una delle entità più conosciute e venerate in Brasile, per i fedeli del Candomblè è regina di Koso.
Bella, impetuosa e passionale, Yansà non accetta vincoli o compromessi di nessun genere. La sua furia, nel momento dell'ira, è più violenta di quella dello stesso Xangò. Anticamente era la divinità del fiume Niger, nella "trilogia" delle signore del fiume (Oxum-Yansà-Obà), è quella che rappresenta la forza propulsiva del corso d'acqua, con tutte le sue turbolenze. Figlia di Yemanjà e Aganjù, prima di unirsi a Xangò, Yansà fu compagna indomita di Ogùm. 

Lancia fulmini, saette e scariche elettriche contro i suoi avversari, li folgora senza pietà in maniera definitiva. Combatte per la giustizia, è rapida e fulminea.
Yansà ha nove manifestazioni, quanti sono gli affluenti del fiume Niger.
Una delle manifestazioni di Oià più temute è chiamata Balè o Igbalè (Santa Teresa a Cuba, Santa Barbara in Brasile) ed è la Signora degli Eguns (spiriti dei morti), una sorta di Ecate dalla pelle d'ebano che brandisce due sciabole e al cui grido di guerra tremano le anime dei morti e dei vivi.

Yansà viene invocata soprattutto per difendersi dalle entità negative e, in un certo senso, può essere considerata una vera e propria esorcista. Il fatto che lanci fiamme dalla bocca fa di lei la patrona di chi usa la parola per difendere il prossimo o per attaccarlo, perchè gli Orixàs sono forze talvolta ambivalenti e operano su più fronti, seppure sempre in funzione del bene.
Per questo la selvaggia e bella Yansà viene spesso invocata per combattere senza quartiere i nostri nemici o chi ci ostacola.
La sua forza travolgente fa sì che il suo axè sia invocato anche per conquistare la persona desiderata.
Libera inoltre dai vizi e combatte ogni genere di ipocrisia, facendo trionfare la verità nuda e cruda, seppur dolorosa.

Obà

Obà, in Africa, era la divinità del fiume omonimo. Nel mito è la prima moglie di Xangò. Obà ne era innamoratissima e si prodigava nel soddisfarlo in tutto quello che poteva.
Abile cuoca e perfetta donna di casa, sapeva usare il telaio con un'abilità che lasciava sbalorditi e le sue mani, forti e sicure, confezionavano per il suo sposo abiti elegantissimi.
Ma Xangò, non appena poteva, si concedeva scappatelle con Oxùm e Iansà.
Obà era disperata al punto che seguì l'ingannevole consiglio di Oxùm, senza immaginare che fosse l'amante del suo compagno, finendo per tagliarsi un orecchio e cucinarlo in una zuppa di gombos (funghi): "Per riconquistare un marito non c'è ricetta migliore" le disse Oxùm. Quando Xangò venne a conoscenza del fatto, ovviamente imbeccato da Oxum, ripudiò Obà ma non l'abbandonò mai definitivamente: per lui resta sempre la sua Signora.

Nella tradizione brasiliana, Obà è la protettrice e la consolatrice degli innamorati delusi.
Viene sincretizzata con Santa Caterina d'Alessandria o con Santa Giovanna d'Arco, governa su tutto quanto si muova su ruote, perciò è legata alle strade, come Exù e, come Ogùm, agli incidenti automobilistici. Per questo la si invoca prima di lunghi viaggi. Obà ha forti legami anche con i cimiteri, poiché vi trova la comprensione di Omolù. Abile guerriera, forte come e più di un uomo ed esperta di caccia e arti marziali, difende altresì dalle chiacchiere e dalle calunnie, inoltre protegge i giovani negli studi, le sarte e le tessitrici. È il simbolo della fermezza, non solo in termini di risolutezza e determinazione, ma anche come capacità di focalizzarsi e restare saldi in ogni tipo di attività ritualistica e spirituale.
Il suo axè è utilissimo per i rituali d'amore, specie quelli per riconquistarlo e punire i rivali, e per guarire le malattie alle orecchie e all'apparato uditivo, che Obà governa. I suoi simboli sono il rasoio, la ruota, il timone e la palma.

Nanà

Nanà è la grande Madre Terra, Signora dei pantani e del fango primordiale, il luogo che permette alla vita generata da Yemanjà, dea del mare, di evolversi e riprodursi.
Nanà, la prima Grande Madre del mito è ora considerata la nonna di tutti gli Orixàs.
È la guardiana della soglia, del passaggio tra la vita e la morte. E madre di Omolù, signore delle malattie, e di Ossain, l'Orixà dei vegetali, nonché prima moglie di Oxalà, ma anche genitrice di Ogùm e di Elegbarà. Nel sincretismo è Sant'Anna, madre della Vergine Maria, nella tradizione cattolica, e di Yemanjà, nell'Umbanda.
È una Orixà molto antica e temutissima, dal momento che nella tradizione è colei che generò Ikù, la Morte.
Viene pregata sulle rive dei mari e dei fiumi, ma anche nei luoghi fangosi e nei boschi di bambù, pianta considerata sacra ai morti e passaggio mistico tra i due mondi.
Assieme al vecchio e saggio Oxalufà, rappresenta il matriarcato della Terra, quella particolare energia che ha già vissuto tantissimo e ora può predicare con distacco, forte dell'esperienza passata, preoccupandosi dei suoi figli e nipoti.
Rappresenta l'intero viaggio della donna, sin dalle prime focose e istintive passioni di Oduduà, la fertilissima terra primigenia, fino alla maturazione compiuta e alla zelante castità di Nanà Burukù, una delle manifestazioni più conosciute in Brasile.
È la Mae de Santo, la sacerdotessa depositaria di millenni di conoscenze esoteriche racchiuse nel suo caldo e cupo cuore di terra, ritirata a vita privata cedendo lo scettro e il ruolo di regina a Yemanja, ma che dalle profondità vigila ancora sui segreti che è bene restino celati. Nanà ha inventato la danza e l'ha insegnata agli uomini come forma di preghiera, inghiotte tutti i nostri mali, i nostri fluidi energetici e le nostre preoccupazioni nel suo sottosuolo, trasformandoli in energia positiva.

Oxumaré

Oxùmaré, sincretizzato con San Bartolomeo, è l'Orixà serpente, il signore del movimento e coordinatore del ritmo dell'Universo.
Senza Oxùmaré tutto sarebbe immobile, congelato in un tempo senza tempo, sterile e privo di senso.
Nel mito è considerato androgino, sei mesi maschio e sei mesi femmina, anche se in realtà è un tutt'uno con la sua controparte femminile, Ewà.
È il signore della ricchezza e dell'abbondanza, viene identificato anche con l'arcobaleno, il serpente del cielo.
Fratello di Nanà, appartiene alla Famiglia degli Antichi, ossia degli Orixàs che precedono la venuta dell'uomo, nato, virtualmente con il parto mistico di Yemanjà.
In Brasile è considerato il compagno di Ewà, in Africa Orixà legata alle sepolture, ma in Brasile diventata nume tutelare delle fonti d'acqua, a metà strada tra la guerriera Yansà e la dolce Oxùm.
In realtà Oxumaré ed Ewà sono Orixà differenti, ma complementari. 

La traduzione letterale della parola Oxumarè è "la corona luminosa della luna", è una vibrazione misteriosa ma piena di significati: il serpente che si raccoglie su sè stesso per mordersi la coda rappresenta l'eterno ciclo di metamorfosi, di morte e rinascita a cui ogni cosa e ogni uomo è soggetto.
Con la sua compagna e controparte femminile Ewà dà vita a una sinuosa e ipnotica danza d'amore, che tutto muove e mantiene in vita in un eterno e inarrestabile flusso. In una leggenda si dice che per sei mesi all'anno ruoti attorno al mondo e per i restanti sei disperda le sue spire luminose nell'universo.
Generato dal dio supremo Olorùm assieme a Irokò (l'albero sacro), lavora in perfetta sinergia con quest'ultimo: Iroko è l'asse portante del mondo, Oxumaré è la forza motrice che genera il movimento attorno al perno.
È anche il signore delle scienze esoteriche, della ricerca e della conoscenza.

Omolù

Omolu è uno degli Orixas più temuti, poiché portatore di malattie devastanti come il vaiolo. In questo caso è più conosciuto come Abaluayè, ossia il Signore della Crosta Terrestre. Figlio di Nanà, la madre delle profondità della terra, è raffigurato ricoperto da una veste di paglia per nascondere la sua pelle martoriata dalle malattie. Legato all'elemento terra, che tutto accoglie in sé dopo la morte, in stato di decomposizione, è conosciuto come il "medico dei poveri"; è in realtà uno degli Orixas più caritatevoli, avendo il compito di guarire gli ammalati e, laddove non sia possibile, facilitarne il trapasso senza sofferenza.
In questo caso abbiamo a che fare con Omolu sincretizzato con San Lazzaro, il Signore dei Cimiteri. Questi è rappresentato come uno scheletro ammantato che siede su un trono al centro del Campo Santo. Come il dio egizio Anubi, soppesa i debiti delle anime ed è guardiano del portale verso un altro mondo, ossia il cimitero, nella cui fertile terra può essere accolto ogni energia negativa per liberare e purificare chiunque si rivolga a lui. È tanto misericordioso quanto, all'opposto, crudele qualora irritato: quando Omolu si scatena porta devastazione e ciò di cui si occupa meglio, la morte.
Si invoca il suo axè per porre fine a una situazione: con un'adeguata offerta (i suoi cibi preferiti sono il pop-corn, la carne di maiale e i fagioli neri) la sua falce calerà prontamente per tranciare il vecchio a favore di una rinascita. Atotò Omolu!

Ossain

Ossain è l'Orixà delle piante e dei vegetali: ovunque ci sia un po' di verde, fosse anche solo un filo d'erba, lì c'è questo potente Orixà.
La cultura africana è fortemente legata alle foreste: quando si utilizza una qualsiasi erba occorre, prima di impiegarla, invocare l'intercessione di Ossain. Nel mito, Ossain non ha né padre né madre, ma emerge dalla terra come un filo d'erba. Nell'immaginario popolare è rappresentato come un anziano uomo, storpio, cieco da un occhio, con un'orecchio grandissima (da cui non sente assolutamente nulla) e una piccola ma sensibilissima. Viene sincretizzato con Sant'Antonio Abate. Tutti i vegetali gli appartengono, anche se ogni Orixà ha delle erbe che gli sono sacre e che vengono impiegate nei suoi riti.
Ossain è considerato un grandissimo stregone e il suo concorso rientra in moltissime pratiche rituali e terapeutiche. Essenza dei meandri più profondi della vegetazione, Ossain detiene tutti i segreti della fitologia occulta e dell'erboristeria magica. Spesso è considerato anche un Orixà femmina a seconda del contesto antropologico e, nella forma di yabà Ossanhe, è sincretizzata con Santa Lucia.

Elegbarà

Ecco una delle divinità più controversa e complessa del pantheon Umbandista. Elegbarà è un Orixà a tutti gli effetti, che però lavora a tempo pieno anche per gli altri Orixàs, poiché è il messaggero tra uomo e Spirito. Svolge il compito essenziale di favorire la comunicazione tra Cielo e Terra: attraverso l'Albero Sacro Irokò, il Palo Cosmico che unisce i due mondi, Elegbarà sale e scende per aprire le porte del dialogo e per consegnare gli Ebòs (offerte): senza la sua intercessione nulla è possibile, poiché ogni strada si chiuderebbe e ogni connessione si interromperebbe.
Affine a Mercurio, è il comunicatore per eccellenza, nonché il Signore dei Crocicchi, dei crocevia e degli incroci, dove gli vengono consegnate le offerte.
Vibrazione potentissima e pericolosa, rappresenta il concetto del percorrere nuove strade in maniera ingegnosa: se Ogum rompe i massi lungo il tragitto con la sua spada, chi porta la fiaccola lungo il percorso è proprio Elegbarà. Sincretizzato con Sant'Antonio, seguace di San Francesco, è il santo delle cose perse: con offerte semplici si prodigherà affinché chi si rivolge a lui ritrovi qualcosa che non possiede più, come l'amore e la serenità familiare.
Non si nega mai per procurare ogni giorno il pane in tavola, ma non bisogna mai dimenticarsi di ringraziarlo come si deve una volta eseguita la richiesta poiché, essendo il signore delle porte, può chiudere quella delle benedizioni e aprire quella delle calamità.
In questo caso vibra e lavora come Exù, la vibrazione che funge da punto di riferimento di tutti gli spiriti della Quimbanda, di cui è il Signore, operando a un livello astrale più alto.
Durante la tratta degli schiavi, Exù veniva rappresentato con due corna ed era attorniato da una fama di brincalho ("birbone"), per questo fu scambiato con il Diavolo, di cui eredita il sinistro aspetto nell'immaginario collettivo.

Ibeji

Gli Ibeji sono i gemelli cosmici, l'essenza delle cose nuove, della nascita, dell'immenso potere e della purezza dei bambini. Sincretizzati coi santi medici Cosma e Damiano, simboleggiano l'origine, il nuovo inizio, rappresentando non solo la nostra infanzia, ma anche quella degli Orixas.
Sono il nostro bambino interiore, la nostra fantasia e la nostra risata priva di pensiero, spontanea.

Rappresentano inoltre il concetto di dualità, da non confondersi col dualismo, termine che mette in contrapposizione due elementi. La dualità degli Ibeji è quella che si riscontra durante la procreazione: due unità si compenetrano dando origine a una terza, che porta in sé il patrimonio e le caratteristiche dei genitori.
Obatalà, alta energia androgina, si divide in due generando la sua compagna Oduduà, la Madre Terra, con la quale avviene la fecondazione che genera tutti gli Orixas e la vita sulla terra.
Gli Ibeji sono l'essenza risultante di questo processo, di questo immenso atto di amore.

Un altro aspetto del particolare axè di questa vibrazione è il concetto di nuovo, di novizio e di iniziazione: la crisalide che rompe il suo guscio per volare via sotto forma di farfalla, l'iniziato che fiorisce a nuova vita col battesimo, sono tutti eventi posti sotto la giurisdizione di questa energia.
Protettori dei bambini, li si contatta per chiedere benessere e spensieratezza, portando le offerte nei parchi giochi sotto forma di giocattoli, dolci, caramelle e bibite.
Sono sotto la tutela di Xangò e Obatalà.

Iroko

Iroko è un Orixà molto particolare e piuttosto misterioso che ha pochissimi figli.
È l'albero sacro, il "palo cosmico", la rappresentazione della forma fallica attraverso cui Obatalà, il cielo, feconda Ouduà, la terra. È di fatto l'asse portante che unisce questi due mondi (e tutti gli opposti), attraverso cui si snodano i due serpenti sacri Oxumarè e la sua compagna femminile Ewa, generatori di movimento, a complemento di un ingranaggio cosmico perfetto.
È lo scettro (paxorò - bastone) di Obatalà, la sua volontà su questa terra. Dato che il mondo ruota attorno a esso, Irokò è anche il responsabile del susseguirsi degli eventi nel divenire temporale, è quindi grazie a lui che il tempo può manifestarsi.
Irokò è una vibrazione assolutamente fuori dalla portata dei più, soltanto le pochissime persone dotate di una grande conoscenza occulta possono lavorare con lui: senza l'adeguata preparazione, si rischia di diventare completamente folli e di perdere la vita.
Infatti non viene mai invocato per banali esigenze terrene, ma solo in caso di gravissimi pericoli vitali o che minacciano un'intera comunità di persone.

Tempo - Ifà

Il termine “Tempo” è la traduzione del nome congolese dell’Orixà Katende, alcune volte sincretizzato in San Lorenzo o in San Gaetano, anche se per la maggior parte dei Terreiros è San Francesco come Orunmilà (il Destino).
Katende incarna la “Storia” nella sua totalità, la somma delle piccole e grandi cronache di tutti i tempi. Durante la creazione del mondo, il grande Spirito si ripiegò su se stesso e manifestò il "tempo", inteso come destino ineluttabile che domina sulla Creazione e che riconduce al Supremo Creatore ogni cosa da Lui generata.
Il Tempo s’identifica in Ifá, Signore d’Ifé Ifé, la mitica città degli Orixás conosciuta anche come Aruanda, la Gerusalemme celeste del mondo africano.
Ifà essendo uno Spirito atavico estremamente metafisico, non può incorporare e il suo spiritualissimo linguaggio è compreso solo dai Sacerdoti del Tempio, ai quali trasmette la sua volontà attraverso Exú, che diviene suo messaggero e di conseguenza portavoce di tutti gli altri Orixás.
Ifá é il Gran Sacerdote, il guardiano degli archivi Karmici collocati negli alti tribunali celesti del piano spirituale, colui che padroneggia i disegni del destino e ne detiene il segreto.
I sacerdoti d’Ifà, chiamati Babalawôs, usano per entrare in contatto con il Santo l’opelè (piccole noci di cocco) oppure il “jogo dos buzios” (conchiglie consacrate).
Ifá è l’unico Orixá che non richiede offerte rituali, si prega semplicemente nei momenti d’estremo dolore, quando tutto sembra perduto, chiedendogli di alleviare un destino crudele: solo lui, infatti, può alleggerire le pene di un Karma difficile.

Logun Ede

Figlio di Oxossi e Oxum, è il signore dei laghi. È un Orixà fresco, dalla parlata simpatica e gioviale, amante dell'arte e di tutto ciò che è giovane, fanciullesco, non ancora del tutto adulto e formato. Un mito lo vede innamorarsi a prima vista di una splendida fanciulla conosciuta sulla riva di un lago e tuffarsi in esso per raggiungerla. Per poter ingannare il padre dell'amante, Logun Edè si traveste da donna al fine di potersi trastullare con lei, ma il Re del lago, scoperto l'inganno lo obbliga a sposarla. Il suo desiderio di libertà è però troppo forte per poter restare laggiù. Decide così di tornare in superficie alle amate foreste portando con sé la sua sposa, perde però la virilità, ma non il desiderio di soddisfarla.
È l'emblema della mancanza di responsabilità e costanza, ma il suo axè viene invocato proprio per questo: eliminare le preoccupazioni e divincolarsi da situazioni complicate all'ultimo minuto, senza rimetterci alcunché o dare troppe spiegazioni.
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Ewa

Ewa è la fedele compagna, nonchè complemento naturale e perfetto, di Oxumarè. È il principio femminile che, in simbiosi col dio serpente, consolido l'equilibrio oscillante di opposti che fa muovere ogni cosa. È una yabà bellissima, che racchiude in sé le energie femminili di Oxum e Yansà, di cui possiede la grazia e la forza. È la Orixà responsabile della trasformazione dell'acqua in vapore, svolge quindi un ruolo fondamentale nel grande e perenne ciclo della vita che compie Oxumarè, signore delle piogge. La si invoca per problematiche inerenti all'amore e alla coppia, per la protezione dei bambini e anche per gli affari e le compravendite, in particolar modo di terreni, aziende e immobili.